Dita era a casa, da sola, fatta eccezione per il personale domestico, del quale però non teneva molto conto.
Era di un umore molto particolare, nel quale non si sentiva da parecchio tempo. Provava una sensazione di vuoto al petto ma non trovava alcuna soluzione nè immediata nè a lungo termine a tutto ciò. Era demotivata, ma non aveva mai capito esattamente da cosa.
Diede un lungo tiro alla sigaretta che teneva fra le dita, le quali tremarono mentre abbassava la mano per espirare il fumo.
Si ricordava come risolveva quelle situazioni, ma non voleva trovarsi di nuovo addormentata sul pavimento di una casa che non era la sua abbracciata a una bottiglia vuota di Jack Daniel's.
Non sono debole. si ripetè mentalmente, con veemenza. Ma di questo non era poi così certa.
Non è poi questo un altro segno di debolezza? Non so nemmeno se ce la posso fare, anche quando va tutto bene.Si trovava sul terrazzo che comunicava tramite una porta-finestra con la sua camera da letto, così spense il mozzicone di sigaretta sul davanzale di ardesia e con un gesto della mano lo buttò giù.
Non pensava di fare gesti stupidi o avventati ma per precauzione decise di uscire di casa e distrarsi un pò.
Aprì l'armadio che teneva in camera, il più piccolo fra tutti quelli che riteneva di sua proprietà all'interno della villa ma anche quello che conteneva i capi di utilizzo comune, come quelli per 'andare a scuola. In quel momento stava uscendo e ciò in genere comportava per Dita la scelta di un abito elegante, ma non era dell'umore per curare la scelta dei vestiti. In più non voleva rischiare di incrociare una domestica e dover dare spiegazioni. Sapeva che i suoi genitori la tenevano d'occhio in qualsiasi momento della giornata tramite i loro dipendenti, completamente diffidenti nei confronti della figlia. Certo, i precedenti parlavano da soli, ma Dita si rifiutava di giustificarli nella sua mente di adolescente.
Indossò una
camicetta sportiva che non amava particolarmente, della collezione primavera-estate di Ralph Lauren, alla quale aggiunse accessori che aveva già abbinato in passato: non si sentiva in vena creativa.
Si chiuse la porta alle spalle senza mettersi un filo di trucco e raccogliendo i lunghi capelli biondi, trattenuti da un baschetto.
Attraversò cautamente il corridoio e scese le scale facendo il minor rumore possibile, per poi raggiungere indisturbata il portone principale, due piani più in basso. A quel puntò sbattè la porta e cominciò a camminare di buon passo.
Dopo aver svoltato l'angolo, si calmò: di certo non l'avrebbero inseguita fin là.
Non aveva ben chiaro dove andare, così entrò nel primo posto veramente affollato che incontrò sulla sua strada: il centro commerciale. Pensò che magari stando circondata dal vociare della gente si sarebbe sentita un pò più viva.
Diede un occhiata alle prime vetrine ed entrò addirittura in un negozio ma ne uscì quasi subito, rabbrividendo disgustata. Non si capacitava che le sue coetanee potessero indossare tali stracci.
Passò oltre gli ultimi negozi di bigiotteria pacchiana, puntando al bar del piano terra, augurandosi di riuscire a tirarsi su solo con un caffè.
Si avvicinò al bancone, passando prima a fare lo scontrino.
«Un caffè macchiato e un bicchiere di acqua naturale.» disse al cassiere, che lo battè alla macchina e le riconsegnò frettolosamente uno scontrino, non prima di averla squadrata. Dita si trattenne dal ridergli in faccia. Di certo aveva altri interessi, ben diversi da un commesso che a poco più di vent'anni sembrava già vittima della calvizie.
Si spostò verso gli sgabelli, consegnò il pezzo di carta alla ragazza che serviva i clienti e sedette, attendendo pazientemente di essere servita. Non correva da nessuna parte.
Storse il naso vedendo la cameriera riempirle il bicchiere dal rubinetto ma non disse nulla. Lo spostò appena, lasciandolo per dopo.